ENRICO MICHELI, psicologo, psicoterapeuta. Formatore e fra i primi divulgatori in Italia del T.EA.C.C.H. È responsabile del Servizio per l’Età Evolutiva del distretto di Agordo, ULSS n° 1 Belluno.
Quasi dieci anni fa, nel presentare il libro di Schopler “Autismo in famiglia” ed. Erickson 1998, Lei riusciva in poche righe a trasmettere un entusiasmo contagioso a genitori ed operatori; il “si può” che abbiamo letto sembrava potesse preludere ad una nuova era per l’autismo in Italia. Oggi, i percorsi che Lei propone per migliorare la qualità della vita delle persone colpite da autismo, a margine del Suo prezioso contributo nel libro Autismo: che fare? ed. Vannini, 2005, sono preceduti da: “si potrebbe”. Che cosa è successo?
Sinceramente, credo che dai tempi di quel “si può” passi avanti, e importanti, se ne sono fatti, specialmente nelle condizioni di vita e nelle abilità e possibilità di far fronte al problema da parte delle famiglie, dei genitori e dei fratelli. oggi i genitori scoprono prima che il figlio ha le difficoltà di sviluppo dello Spettro Autistico, prima sanno cosa si può fare per aiutarlo e aiutarsi, prima scoprono la possibilità di non essere soli con il loro problema. E questo non è poco. Inoltre, credo ancora che “si può” fare altri passi avanti, se il problema è tecnico. Oggi abbiamo i mezzi per operare in modo sempre più chiaro, efficace e consapevole. Il fatto che poi, comunque, non tutto si può ottenere o raggiungere, non toglie nulla agli effetti del tentare in modo razionale e consapevole sulla salute e sul benessere mentale delle persone, siano esse i ragazzi, i genitori, gli operatori, le persone che vivono nella comunità con le persone autistiche. Qualcosa però forse è successo, se consideriamo le difficoltà del periodo che stiamo vivendo nell’applicare quello che sappiamo in modo organizzato , continuo, coordinato. I vecchi miti sull’autismo forse sono stati sconfitti, ma sempre nuovi ne nascono, che tolgono energia e coerenza agli interventi; la scoperta e la convinzione che il miglior trattamento è l’educazione, precoce, intensiva, strutturata, adattata alle caratteristiche dell’autismo, che abbia tra i punti cardine il coinvolgimento e la formazione dei genitori, si disfa nel nostro paese nelle diatribe tra filoni di intervento diversissimi sul piano scientifico , oppure, ed è peggio, che sono sostanzialmente la stessa cosa, ma resi diversi per motivi di marketing. L’applicazione di una efficace educazione incontra il maggior ostacolo nel gigantesco paradosso di una scuola che accoglie i bambini per molte ore al giorno, offre loro numerose ore al giorno di personale educativo, eppure è organizzata in modo da sprecare questa eccezionale opportunità, non offrendo ai bambini quelle attività educative di cui hanno bisogno.
Solo se ci renderemo conto che oggi le nostre diatribe, di solito molto raffinate, sono inutili perché la maggioranza dei bambini non ha neanche un minimo decente di intervento costante e valido, e che quindi occorre costruire sempre più iniziative concrete che mettano in pratica numerose ore al giorno di intervento sensato, quel “si può” diventerà “abbiamo potuto, ci siamo riusciti”.
Al convegno di Bologna del 18 novembre 2005 Autismo ed educazione: il ruolo della scuola promosso da Angsa e dalla Fondazione Augusta Pini e Ospizi Marini, è previsto l’intervento di Schopler. Che cosa si aspetta da un evento di questa portata e in che misura può essere determinante per radicare la nuova cultura dell’autismo?
Di solito non mi aspetto molto dai convegni, se non la possibilità che qualcuno impari qualcosa di più e sia invogliato a mettere in pratica quello che il convegno ha potuto trasmettere. Il bello di una persona come Schopler è la sua assoluta semplicità e concretezza. Quasi 40 anni prima come fondatore, poi come direttore, poi come direttore onorario di un Servizio statale sull’autismo, studiando, provando, creando , con la collaborazione dei suoi, filosofie, strategie, strumenti, tecniche; mai ha sostenuto di aver inventato “il metodo per la cura dell’autismo”; sempre ha cambiato , innovato, imparato da altri, aperto spazi per la comunicazione scientifica più allargata possibile. Un po’ di rimpianto bisognerà averlo, per questi “grandi vecchi”: Wing, Rutter, e tanti altri, solidamente scientifici e fortemente appassionati. Il tema del convegno a cui parteciperà è quello della scuola, ed è proprio un aspetto della nostra realtà italiana in cui molto abbiamo da imparare dal lavoro di Schopler, Mesibov e colleghi. In North Carolina, grazie al loro lavoro e all’ entusiasmo delle famiglie si è creata una rete di integrazione che noi non possiamo nemmeno immaginare; incontrare tranquillamente persone autistiche (certo le più abili, ma da noi così non è) che parlano con l’ospite straniero, guidano l’auto, si riuniscono in pizzeria, fanno campeggi estivi, studiano e lavorano. La creazione , già da molti anni, di una rete di classi strutturate nelle scuole di tutti, con larga possibilità per quello che chiamano “mainstreaming”, l’immissione cioè nei programmi normali ogni volta e per ogni parte del curriculum in cui il ragazzo autistico può farlo è una lezione di integrazione reale. Impareremo da lui che questo è più importante dei vari fiori all’occhiello ideologici che abbelliscono l’immagine di sé di un troppo vasto strato di “intellettuali dell’educazione”?