Intervista a Igor Cenciarelli – 8 luglio 2005

IGOR CENCIARELLI è psicologo e attualmente svolge diverse attività: assistente educativo culturale nelle scuole, consulenza online sui disturbi dello spettro autistico, interventi individualizzati in famiglie con bambini con disagio, formazione sull’autismo per insegnanti e per assistenti domiciliari.

È tra i soci fondatori dell’associazione Gli Argonauti di Roma di cui cura il sito web e, al suo interno, la Biblioteca Multimediale Autismo (BMA).

“Gli Argonauti” è una denominazione insolita per una associazione impegnata nel sociale. Quali sono le motivazioni che hanno portato a questa scelta e perché sono ancora attuali a 8 anni dalla fondazione?

L’aspetto che più ci ha affascinato nel mito degli Argonauti è il tema del viaggio. Un viaggio avventuroso alla ricerca del Vello d’Oro, simbolo solare. Secondo alcune versioni del mito, Argo sarebbe stata addirittura la prima nave a solcare il mare o la prima a spingersi tanto a oriente, verso terre sconosciute. Atena stessa, dea dell’ingegno, avrebbe intagliato da una quercia sacra la prua dell’imbarcazione.

L’altro aspetto affascinante del mito è l’eterogeneità del gruppo di eroi che partecipò all’impresa. Ognuno di loro possedeva una caratteristica unica che si sarebbe poi rivelata di importanza cruciale per superare una particolare difficoltà tra le mille incontrate nel viaggio. Gli eroi, prima di ogni impresa, si riunivano sulla nave e prendevano le decisioni insieme, rispettando il volere del gruppo.

Quando ci costituimmo come associazione nel 1997, era già più di un anno che svolgevamo attività come gruppo di volontari presso l’ANGSA di Roma. Quasi tutti eravamo studenti di psicologia e di autismo poco avevamo sentito parlare. Capitò quindi che conoscemmo prima le persone autistiche e le loro famiglie che la sindrome, così come è descritta sui testi. Imparammo direttamente dai genitori quali sono i problemi che quotidianamente ci si trova ad affrontare, i dubbi e le speranze sulle terapie, l’infondatezza di alcuni modelli della psicologia più tradizionale. Insomma il nostro approccio andava via via prendendo forma più secondo la prospettiva delle famiglie che secondo quella degli operatori. Sentivamo di avere molto da imparare. E imparavamo facendo, stando lì, con i ragazzi. E queste persone così diverse ci piacevano davvero.

In questo clima nacque il nostro primo progetto, il “progetto integrazione” (per chi vuole conoscerlo meglio:
www.gli-argonauti.org/bma/doc/ser/int.htm).

Da questa prima attività si iniziò a definire l’orientamento che avrebbe poi caratterizzato l’associazione e che era essenzialmente operativo, basato sulla ricerca-intervento (definizione dei bisogni, definizione di una gerarchia di obiettivi e passi strategici per raggiungerli, monitoraggio dell’intervento, eventuali aggiustamenti rispetto alle tecniche o agli obiettivi). Le attività si sono tutte concentrate nell’ambito dell’autismo, nella convinzione che è meglio proporre un numero limitato di servizi ma di buona qualità.

Da allora infatti ci siamo dedicati con buoni risultati ad interventi individualizzati progettati insieme a singole famiglie, alla formazione degli operatori che lavorano con persone autistiche e alla diffusione dell’informazione con il progetto informAutismo, che dal solo sito web si è poi evoluto comprendendo anche incontri informativi nelle scuole e consulenze online su disturbi generalizzati dello sviluppo.

La prima e-mail che ho inviato per capire cosa significava la diagnosi di mia figlia, l’ho mandata al tuo indirizzo e la risposta che hai dato a questo sconosciuto, ha riparato al mio iniziale disorientamento. Che cosa significa per te mettere a disposizione di tutti e in modo gratuito le tue competenze di professionista?

Credo che ci siano ancora cose che non hanno prezzo. Come si fa ad inserire la relazione d’aiuto in una logica di mercato? O anche il solo scambio di informazioni. Non dovrebbe essere l’utente a pagare per certi servizi. Questo è il principio che sta alla base della BMA così come di tutti gli altri importanti siti italiani sull’autismo (che restano tutti servizi gratuiti).

Tuttavia è una posizione sempre più difficile da portare avanti, soprattutto come psicologo, dato che oggi, molto spesso, il termine è sinonimo più che altro di libera professione. E in diverse occasioni tale prospettiva è condivisa, e addirittura rinforzata, da una parte dell’utenza stessa. Ma come si fa a sostenere che non dovrebbero essere gli utenti a pagare per una relazione d’aiuto, quando molti di loro preferiscono affidarsi allo psicologo che costa di più perché è “più bravo”? Non è vero che la qualità di un intervento è direttamente proporzionale al suo costo.

Nella realtà però siamo costretti comunque ad accettare dei compromessi tra il principio ideale e le esigenze pratiche: le strutture pubbliche (mi riferisco in particolare alla realtà di Roma, che conosco bene) spesso non hanno possibilità (economiche, di solito) di assumere personale adeguato, con il risultato di fornire servizi limitati qualche volta sia nella qualità che nella quantità, motivi principali per cui l’utenza spesso sceglie di rivolgersi ai privati; dal canto loro, i professionisti interessati ad operare nel campo della disabilità (come individui o come associazioni), si trovano spesso costretti a fornire a pagamento i propri servizi, in quanto unico modo per garantirsi una fonte di reddito, con il rischio (alto) che quest’ultimo aspetto diventi prioritario rispetto alla qualità o all’adeguatezza dell’intervento stesso. Le distorsioni possibili sono tante: trattamenti forniti a persone che trarrebbero maggior giovamento da altri approcci; interventi portati avanti oltre il tempo necessario; ore dedicate a ciascun utente insufficienti, così da poter seguire un numero maggiore di persone (paganti); tariffe molto elevate, con la conseguenza di fornire trattamenti solo a chi può permetterselo.

Qual è il “giusto mezzo”? Una posizione equilibrata è molto difficile da mantenere. La scelta mia e dell’associazione di cui faccio parte è quella di fornire i nostri servizi gratuitamente quando otteniamo un finanziamento pubblico per un nostro progetto e di erogarli ai prezzi più bassi possibile quando il finanziamento non è disponibile. In questi casi la nostra scelta è di mantenere alto lo standard di qualità rivolgendoci purtroppo (ma non potrebbe essere diversamente) ad un’utenza più ristretta.

Crediamo sia una valida alternativa ad un’impostazione di tipo imprenditoriale che non ci sembra applicabile al campo del sociale in modo vantaggioso (per gli utenti).

Nel sito dell’associazione – www.gli-argonauti.org – si legge del progetto InformAutismo che prevede l’apertura di sportelli informativi sull’autismo dapprima a Roma e poi in tutta la provincia romana. Quali sono i risultati più importanti che sono stati raggiunti finora con questa iniziativa?

Uno dei risultati più consistenti di questo anno di attività è stato quello di aver ricevuto la disponibilità, accordataci da diversi Istituti scolastici, per l’attivazione di ulteriori sportelli territoriali dislocati nella Provincia di Roma. Nonostante il progetto si sia concluso a luglio 2004, tutti gli sportelli attivati hanno continuato la loro attività per circa un anno. Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione volontaria di alcuni docenti particolarmente sensibili nei confronti dell’Autismo, nonché alla disponibilità e fiducia accordataci dai Direttori d’Istituto che hanno avallato la nostra proposta di attivazione di Sportelli Territoriali.

Gli Sportelli Territoriali sull’Autismo sono rivolti a familiari di persone con disturbi dello spettro autistico, operatori sociali, insegnanti o altre persone coinvolte nelle problematiche connesse a questi disturbi. Ai tre sportelli inizialmente attivati si sono quindi aggiunti, in momenti diversi, altri sette Sportelli Territoriali sull’Autismo.

Le richieste ricevute presso gli Sportelli Territoriali sull’Autismo, attivati presso gli Istituti Scolastici, sono state focalizzate in particolare su due tematiche: (a) la didattica speciale e (b) la gestione di comportamenti problematici. In entrambi i casi, le domande iniziali tendevano ad essere sottese da “aspettative trasformative di tipo meccanico”. In altri termini, venivano poste delle problematiche rispetto alle quali gli utenti sembravano attendersi una soluzione “dall’esterno”, ossia una azione da parte nostra che comportasse una modificazione della situazione problematica.

L’obiettivo degli sportelli informativi non è però quello di fornire specialisti in grado di “risolvere il problema”, bensì quello di migliorare le competenze di chi opera nella situazione problematica così da utilizzare in modo più vantaggioso le risorse già presenti sul campo. In tutte queste situazioni si è provveduto quindi ad una riformulazione circa la nostra funzione all’interno della situazione fonte di disagio, orientando la consulenza verso una “facilitazione dei processi trasformativi in corso”. I nostri operatori hanno cioè svolto una funzione di supervisione degli interventi in corso e nel sostegno in fase di problem solving, entrambi finalizzati ad una più efficace ed efficiente mobilitazione delle risorse disponibili.

Come associazione che opera nell’ambito dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, avete ricercato spazi di confronto con le associazioni di genitori di soggetti autistici del territorio?

Come accennavo all’inizio, l’associazione è nata proprio da attività volontarie svolte con le famiglie di persone autistiche dell’ANGSA. La prospettiva della famiglia è stata dunque la prima attraverso la quale siamo entrati in contatto con la multiforme realtà dell’autismo.

Oggi ai nostri interventi individualizzati sono progettati insieme ai genitori, con i quali cerchiamo di individuare i bisogni principali e gli obiettivi su cui lavorare. In questo modo con la famiglia definiamo una “consegna” sulla quale si struttura poi l’intervento. Naturalmente la consegna non è data una volta per tutte: può essere ridefinita, qualora sia avvertita tale necessità da uno qualsiasi dei soggetti dell’intervento.

In questi anni hai conosciuto molti genitori che convivono con l’autismo dei figli. Quali sono gli aspetti che non smettono di stupirti dialogando con loro?

Quando comincio a lavorare con qualcuno affetto da autismo, normalmente ne sono attratto. Voglio conoscerlo, capire chi è, quali attività possiamo svolgere insieme, come affrontare le difficoltà che incontriamo. Insomma, mi piace passare del tempo insieme.

Se l’intervento va avanti per un certo periodo, inizio a conoscere meglio tutta la famiglia, la loro storia, sia come gruppo che come individui. Va a finire che dopo un po’ mi rendo conto di voler bene non solo alla persona ma a tutta la famiglia.

Quello che più mi colpisce nei genitori è che, anche se sugli aspetti più generali le storie sembrano avere alcuni punti in comune (nascita del figlio, primi dubbi, accertamenti vari, prima diagnosi, fase iniziale di disorientamento e sconforto, attivazione e ricerca di interventi adatti, continuo confronto con limiti e problematiche delle strutture e delle istituzioni), conoscendoli meglio, risultano invece persone diversissime le une dalle altre, che non possono essere accomunate dal solo fatto di avere un figlio con disturbo dello spettro autistico. Non saprei trovare una caratteristica che li contraddistingue in modo particolare. Ognuno mi ha dato emozioni diverse.

Curiosamente però, molte delle persone più significative nella mia vita (professionale e non) sono genitori di figli con disturbi generalizzati dello sviluppo. Ho sentito spesso di avere molto da imparare da loro, e non solo rispetto a notizie sull’autismo (frequentemente i genitori hanno più informazioni specifiche degli operatori).

Sono persone in grado di tirare fuori un’energia e una quantità di risorse impensabili, anche se incanalate in direzioni molto diverse a seconda della storia personale e familiare. Molti di loro riescono a gestire per anni situazioni che a prima vista sembrano insostenibili senza crollare.

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