STEFANO PALAZZI è neuropsichiatra dipendente del servizio sanitario nazionale inglese e lavora presso il Centro Michael Rutter e il Guy’s Hospital di Londra (www.guysandstthomas.nhs.uk). Si occupa di disturbi dello spettro autistico dal punto di vista epidemiologico, psicoeducativo e biomedico da oltre dieci anni. È contattabile all’indirizzo: postaperta@virgilio.it
Nel triennio 1996-1999 Lei ha diretto l’Osservatorio Autismo della Regione Lombardia. Come è nata una struttura di questo genere e quali obiettivi si proponeva di raggiungere?
L’osservatorio nasceva grazie al riconoscimento amministrativo dell’importanza di affrontare a livello di sanità pubblica un tema di salute neuropsichica a cavallo tra età infantile e adulta. Ciò coincideva con gli interessi professionali che avevo sviluppato negli anni ’80 in Italia e negli Stati Uniti. Da un lato si mirava ad una ricognizione epidemiologica della diffusione del problema. Dall’altro lato ci si proponeva di costituire un centro di informazione e gestione delle richieste riguardanti un’utenza considerata particolarmente difficile perché delusa e, in un certo qual modo, “scomoda”. Un’investitura ad personam sembrava poter garantire l’autonomia necessaria alla realizzazione di un progetto che era allora visto come controcorrente rispetto agli atteggiamenti diagnostici e terapeutici del tempo. Gli obiettivi dell’osservatorio erano rigorosamente prestabiliti in termini conoscitivi. Ogni anno vi era una relazione tecnico-scientifica da sottoporre ad un comitato di controllo regionale. Nel giro di un biennio si riuscì, ad esempio, a far partecipare la maggioranza dei servizi coinvolti nell’assistenza e diagnosi di soggetti con autismo ad un convegno presso l’Università di Pavia con propri risultati originali raccolti in modo relativamente uniforme. La storia e i risultati del lavoro dell’osservatorio regionale sull’autismo sono stati messi in rete sul sito appositamente creato. Erano reperibili tutti i bollettini e le relazioni annuali, nonché il rapporto conclusivo e lo studio effettuato in collaborazione con il progetto europeo Horizon.
Quali sono stati gli elementi che Le hanno permesso di iniziare il suo lavoro e di portarlo avanti compiutamente? Quali invece sono state le difficoltà maggiori che ha dovuto affrontare?
Per realizzare il progetto di osservatorio regionale sull’autismo fu necessario dimostrare che vi credevo pienamente. Ad esempio lasciai l’ospedale privato presso cui lavoravo (www.fondazionesanraffaele.it) per concorrere ad un posto nel sistema pubblico. Grazie alla relativa autonomia dell’iniziativa fu possibile continuare il lavoro dell’osservatorio nonostante l’avvicendamento politico intervenuto nel frattempo. Tutti gli obiettivi previsti dalla deliberazione regionale istitutiva dell’osservatorio autismo erano raggiunti in tempo e pienamente. Tuttavia, pur riconoscendo il merito del lavoro eseguito e raccomandando al Consiglio Regionale l’estensione dell’iniziativa, il comitato di controllo costituito pariteticamente da operatori universitari e ospedalieri e rappresentanti di associazioni di genitori non volle coinvolgersi nelle vicende interne dell’ente sanitario locale cui era affidata la gestione finanziaria dell’osservatorio. Questi infatti era stato nel frattempo assorbito da un’azienda sanitaria limitrofa (www.ospedale.lecco.it). Un personaggio del luogo, cercando di assumere il controllo dell’osservatorio, ne rallentava la pubblicazione dei risultati. Decisi allora che un periodo “sabbatico” all’estero sarebbe stato utile a verificare se il mio contributo fosse ormai ridondante.
In questo progetto c’è stato il coinvolgimento delle associazioni dei genitori? Che cosa le hanno lasciato come uomo e come professionista le esperienze di vita delle famiglie?
Sicuramente l’osservatorio non sarebbe iniziato senza l’attività di lobby di alcuni genitori milanesi appartenenti all’ANGSA che ebbero fiducia nelle mie capacità professionali. A livello personale ogni genitore che ho incontrato ha sempre dimostrato simpatia, supporto e affetto verso l’osservatorio e il gruppo che vi operava. Tuttavia, in una regione di nove milioni di abitanti i rappresentanti delle associazioni rappresentano inevitabilmente una componente selezionata delle persone interessate dal problema dell’autismo. Sono genitori eccezionali che trovano il tempo e le energie per organizzarsi dopo aver sbrigato le loro attività quotidiane. Lo fanno per i loro stessi figli, ma è anche ammirevole come poi s’impegnino ad aiutare e solidarizzare con le altre famiglie, cercando di superare i disaccordi e tentando di far conciliare interessi diversi. L’esperienza di quel periodo resta indubbiamente positiva nel mio curriculum professionale e umano, ed è stata utile nell’inserimento in un’altra realtà europea (www.slam.nhs.uk). Un vero tirocinio “politico-manageriale” applicato ad una problematica complessa e in evoluzione.